Ricordo una sera, al cinema, a vedere non so più che film. Ricordo il trailer di questa strana pellicola, con un bambino in un costume peloso e altre ancor più pelose creature. La mia affermazione: “questo lo devo assolutamente vedere!”.
A distanza forse di un anno o più da quel momento, ieri sera ho compiuto questa mia volontà, nella tranquillità delle mie mura domestiche.
Dunque, Nel paese delle creature selvagge, immaginifico e lisergico film, diretto da Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, e una valanga di video musicali indie rock), è l’adattamento di un libro illustrato di Maurice Sendak, piuttosto famoso nei paesi anglofoni, datato 1963.
La storia non è nient’altro che il classico concetto della formazione di un bambino verso la maturità, attraverso avventure ed esperienze personali, che in questo caso sono una fuga dalla propria famiglia, la scoperta del paese delle creature selvagge, e l’esperienza di vita con esse. Insomma il classico prototipo del viaggio e ritorno a casa, alla propria realtà, inframmezzato da momenti topici, riti di passaggio, educazione sentimentale.
Niente di nuovo, come peraltro spesso accade nell’arte, nel senso più vasto del termine.
Ma la bellezza e il valore di quest’opera, fatta salva la necessarietà della volontaria sospensione dell’incredulità, è la naturalezza e la fluidità con cui viene presentato questo mondo fantastico, ma tutt’altro che ospitale e benevolo. Il protagonista Max fugge dalla solitudine e dall’incomunicabilità della sua famiglia, solo per ritrovare, in fondo, le stesse condizioni, insieme alle strane creature selvagge.
Ciò che è “sbagliato” è il modo in cui il ragazzo affronta le situazioni, il disagio e l’inadeguatezza che si porta dentro, che lo spingono a comportarsi in modi a volte violenti e insensati, anche verso le persone a cui vuole bene.
Per questo il teaser del film afferma: “Nel paese delle creature selvagge. Ce n’è una in ognuno di noi”.
La morale educativa è abbastanza banale, ma è più che altro uno strumento per mettere in scena il senso di solitudine e di distanza fra le persone, uomini o creature che siano, i profondi solchi che a volte le nostre parole e azioni scavano, dividendoci.
Non è un caso che tutto questo corpus tematico faccia molto Dave Eggers, perché infatti alla sceneggiatura siede proprio lui.
Un film personale, a tratti rarefatto, con ritmi atipici e toni piuttosto dark, per una pellicola fantasy, action, o quant’altro. Sostanzialmente un’opera sul senso dei rapporti umani, sulla ricerca della felicità, visti con gli occhi di un ragazzino totalmente perso nel suo mondo, che va alla deriva, finché non scopre dentro di se il significato del dolore, della perdita, dell’affetto e del rispetto.
Ma disquisizioni morali e psicologiche a parte, quanto sono belle le Creature!
Davvero verosimili e vive, perfettamente inserite adatte al contesto naturale spoglio e selvaggio (ovviamente) in cui vivono. Bellissime esteticamente e valide anche a livello attoriale, rendono la visione del film un’esperienza difficilmente dimenticabile e ripetibile. Una pellicola che stupisce per il suo essere qualcosa di unico e difficilmente catalogabile, di certo non un film per bambini, quanto piuttosto una stupenda favola per adulti.