Per Natale mi sono regalato il dvd di “Mood Indigo – La schiuma dei giorni”, finalmente direi, visto che il film diretto da Michel Gondry è datato 2013. Pachidermico ritardo personale a parte, la pellicola basata sul romanzo di culto di Boris Vian (1947) era sotto molti punti di vista un grande azzardo artistico e, conseguentemente, commerciale.
Ma per fortuna esistono ancora persone disposte a credere nei sogni, e sopratutto a realizzarli. Fra questi piccoli-grandi eroi del mondo moderno Monsieur Gondry occupa senza dubbio il posto speciale di discreto e delicato osservatore dell’animo umano, che racconta con originale ironia dolce-amara in tutti i suoi lavori, ciascuno a suo modo.
In questo caso specifico si è messo alla prova con quello che Raymond Queneau ebbe a definire “il più straziante dei romanzi d’amore contemporanei”, opera struggente e fatalista, estremamente personale e traboccante di trovate narrative ben difficilmente traducibili in pellicola. Ci avevano già provato Charles Belmont e il giapponese Go Riju, con esiti invero non memorabili.
La versione Gondry risulta fin da subito molto aderente al clima onirico, grottesco e altamente allegorico descritto da Vian, opportunamente virato alla sensibilità visuale dell’autore di “Eternal Sunshine…“, “L’arte del Sogno“, ecc, di cui qui si ritrovano, non a caso, molti tratti distintivi, a livello di fotografia, scenografia, stop-motion, cinema quirky e steampunk.
Il protagonista, Colin (Romain Duris), un giovane e ricco idealista parigino, vive sognando di incontrare il grande amore, finché si innamora della graziosa Chloé (Audrey Tatou). Colin vive in un mondo spensierato e coloratissimo, dove tutto sembra un gioco (che è effettivamente la visione del mondo propria del consumismo post-industriale), ma tale rocambolesco idillio si spezza durante la luna di miele, in cui Chloé si ammala gravemente. L’unico modo per mantenerla in vita è ricorrere a costosissime cure, che mettono ben presto sul lastrico Colin, traducendosi anche nella rovina materica del mondo in cui vive, che vira al bianco e nero, suggerendo l’inevitabile transitorietà della felicità, della bellezza e della vita, in una parabola esistenzialista rafforzata dall’omaggio iconico a Jean-Paul Sartre (che diventa Jean-Sol Partre), quale leader maximo e vero oppio dei popoli.
Fatto un rapido punto sulla trama, è l’enorme corpus simbolico, allegorico e metaforico a essere il vero nucleo artistico del film, che tra ammiccamenti a Chaplin, Keaton, Wiene, Burton, Orwell, Kafka, anguille che scappano dai rubinetti, cuochi ubiqui, pianocktail, strette di mano roteanti, matrimoni con sfida, Gesù a razzo e balli Sbircia-Sbircia ne ha davvero per tutti i gusti.
Il risultato finale è un complesso caleidoscopio, che richiede tempo e attenzione, per sedimentarsi e acquisire completamente senso e tridimensionalità. Resta fuor di dubbio che La schiuma dei giorni di Gondry sia uno dei suoi lavori più coraggiosi e visivamente potenti, una vera e propria summa di un certo modo di fare e pensare film, il SUO modo… and I always like it!
Penso proprio che me lo vedrò 😉
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Sarà sicuramente del tempo ben speso, qualsiasi potrà essere la tua opinione in merito, che comunque mi interesserebbe conoscere, se ti andrà di condividerla 🙂
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Perché no 😉
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