Gli australiani Deadspace, a fronte di un primo impatto grafico abbastanza trito e demodé, sono riusciti a confezionare un lavoro alquanto interessante. Trattasi di “The Promise of Oblivion”, loro debutto indipendente, ma già in possesso di tutti i requisiti necessari per stabilire una positiva affermazione nell’ambito black di derivazione depressive-rock.
Il quintetto di Perth, prendendo infatti il là dalla fondamentale lezione dei vari Lifelover, Joyless e gli Shining meno parossistici, ha confezionato un album assolutamente concreto, che invece di perdersi in inutili sbrodolate suicidal, riscatta la centralità del song-writing, con ottimi arrangiamenti, sopratutto a livello solistico e percussivo, risultando spesso avvincenti e non banali, nel giustapporre pura disperazione black (cfr. alcune vocals, quasi di nattramniana memoria) e malinconiche melodie in odore di blues, senza perdere nulla in termini di impatto e aggressività.
Come spesso accade nel genere in questione questi brani assumono l’aspetto del diario interiore, della messa in note di pensieri ed emozioni appartenenti agli ambiti più intimi e profondi del sé, non tanto per ciò che concerne le lyrics, piuttosto semplici e dirette, come un inevitabile rigurgito di bile nera, quanto nelle mutevoli atmosfere musicali a cui si accompagnano. Cito a tal proposito i tre brani a mio parere più significativi, “With Tears of Callous Lust”, “The Clouds Won’t Shade the Pain” e “In the Coldness of the Darkest Night”, la cui cristallina qualità mi ha riportato alla mente i per certi versi simili Epistasis.
Credo che i blackster amanti delle sonorità spurie e più interessati all’introspezione che ai blast-beat potranno trovare molti elementi di valore, all’interno dell’agile e oscuro debutto firmato Deadspace, acquistabile a prezzo popolare direttamente sul bandcamp della band.