Non imparava soltanto dall’esperienza; anche gli istinti, a lungo sopiti, si ridestarono in lui. L’eredità delle generazioni addomesticate lo abbandonava. Riandava confusamente con la memoria alle origini della sua specie, al tempo in cui i cani selvaggi vagavano in branchi nella foresta primordiale e si procuravano il cibo cacciando e uccidendo la preda. Non gli costò fatica imparare a combattere a colpi di denti, con lo scatto fulmineo del lupo: così avevano combattuto i suoi progenitori dimenticati; essi resuscitavano in lui l’antica vita, e le antiche astuzie che avevano trasmesso a tutta la specie erano le sue stesse astuzie. Riaffioravano in lui senza sforzo, senza che dovesse scoprirle, come se le avesse possedute da sempre. Quando nelle notti tranquille e gelide puntava il naso in direzione di una stella e ululava a lungo come fa il lupo, erano i suoi antenati, morti e ormai polvere, a levare il muso verso le stelle e a ululare giù dai secoli attraverso di lui. Le sue modulazioni erano le loro, quelle stesse con cui avevano espresso il dolore e ciò che significavano per loro la quiete, il freddo e le tenebre. Così, esempio di come siamo marionette in balia della vita, l’antico canto riaffiorò in lui ed egli ritornò alle origini.
(Jack London)