“To Venomous Depths” debutto sulla lunga distanza (per la prestigiosa Season of Mist) per i Cloak, quartetto di Atlanta, Georgia, dedito a un black metal evocativo e impattante, in grado di catturare la magia e il mistero dell’heavy classico, attraverso il ricorso a cupe ma intriganti armonizzazioni chitarristiche, ritmiche intense e un’intelligente costruzione di suspense e pathos drammatico, tali per cui è impossibile non percepire la potente energia oscura che anima il disco, nella sua interezza.
Per certi versi vicino all’approccio degli ultimi Tribulation, Watain e Uada, “To Venomous Depths” impressiona favorevolmente per lucidità e freschezza nel maneggiare una materia sonora che, onorando debitamente i classici della prima ondata black, al tempo stesso si colloca fermamente nel presente, sia a livello di mera tecnica, grazie cioè a una registrazione/produzione di alto livello, che da il giusto risalto a ogni strumento, sia per la maturità nel non incorrere in facili stereotipi interpretativi, che spesso limitano la portata e la valenza artistica stessa di alcune release, rendendole eccessivamente ridondanti e/o devozionali.
Ma un mantello è in grado di coprire molte cose, occultandole o proteggendole, e sotto il loro velo i quattro di Atlanta nascondono (ma in realtà neanche troppo) anche parecchie suggestioni rock, dark e gotiche, sia come estetica che come riferimenti musicali (Fields of the Nephilim, Type 0 Negative), e finanche death, arricchendo un sound che funziona come vero e proprio epitome alchemico dell’oscurità in musica, opportunamente tradotto in un costante mid-tempo (siamo stabilmente attorno ai 100, 120 bpm).
Pur non essendo quindi interessati a innovazione o sperimentazione, i Cloak ci sanno fare parecchio, sopratutto in considerazione della relativamente esigua esperienza discografica dei componenti, e diventato dunque sin da subito e a buon diritto fra le realtà black più interessanti del panorama internazionale.